Verena Schmid fa sentire la sua voce in un momento molto importante per le donne e per l'ostetricia. Un momento in cui non si può ignorare la drammatica situazione della nascita in Italia, e non solo. Ormai il numero delle donne che partoriscono "secondo natura", ovvero senza interventi chimici o chirurgici, si sta avvicinando pericolosamente allo zero. Con conseguenze che conosceremo solo fra molti anni.
Oggi Verena Schmid, fondatrice della Scuola Elementale di Arte Ostetrica di Firenze, conferenziera internazionale e autrice di libri tradotti in varie lingue - e che mi ha regalato la bellissima prefazione del mio libro "Il Parto in Casa", onorandomi inoltre della sua presenza a una presentazione a Firenze - ha scritto una lettera aperta alla Federazione Nazionale delle ostetriche per commentare il loro documento sul HBAC (Home Birth After Cesarean), che a suo avviso "praticamente lo vieta sia alle ostetriche che alle donne", e per lanciare una proposta: discutere tra ostetriche di questi temi, partendo dalla donna e trovando un approccio comune "prima di fare/subire degli editti che calano dall’alto o che semplicemente riproducono il parere medico (non quello scientifico)".
Sono assolutamente d'accordo con il contenuto della lettera, quindi mi fa molto piacere riassumerla e condividerla con voi!
Tanto per cominciare, Verena sottolinea subito che il parere tecnico della FNCO rispetto all’assistenza a domicilio delle donne precesarizzate l'ha disorientata, "sia per la presunta o parziale scientificità, sia perché non vi ho trovato niente del pensiero della midwifery o dell’etica dell’ostetrica".
Elenca quindi alcuni punti fondamentali, sottolineando che "la modalità assistenziale più sicura e efficace è la continuità dell’assistenza" e che "il rispetto della fisiologia nel parto previene le complicanze del parto e produce migliori esiti per madre e bambino". Inoltre, ribadisce due punti centrali del suo pensiero, e cioè che "una buona sorveglianza clinica permette il riconoscimento precoce di eventuali complicanze che richiedono cure mediche" e che "gli interventi non necessari usati di routine in ospedale producono effetti avversi per madre e bambino".
Poi ricorda che le statistiche delle complicanze dei VBAC "provengono dagli ospedali dove vengono praticate induzioni e epidurali anche su donne precesarizzate", alle quali viene somministrata l'ossitocina e dove sono spesso costrette a partorire immobili nella posizione supina, che di certo non aiuta, se non danneggia, il processo del parto.
Non solo: Verena chiarisce che "non esiste un confronto tra pratiche ospedaliere di VBAC e pratiche ostetriche intra- o extraospedaliere, quindi non si può affermare che le complicanze in tutti i casi siano quelle pur minime citate nelle ricerche". Per poi centrare il vero problema, a mio avviso, e cioè che "non si può neanche pensare che chi ha creato l’epidemia dei cesarei (il modello medico) possa guarirla". PAROLE SANTE!!!!
Mi chiedo: ma perché non la smettiamo di far finta di nulla e ci mettiamo tutti con un pò più di umiltà e onestà ad esaminare la tragica situazione della nascita nel nostro Paese? Perché continuiamo a ignorare le evidenze scientifiche in nome del profitto economico e/o della presunta sicurezza ospedaliera?
Come afferma Verena, "di nuovo viene citato l’ospedale come luogo di assoluta sicurezza, cosa non corretta, poiché se andiamo a verificare le complicanze, ce ne sono di più in ospedale che a domicilio". E poi: "Oggi in tutto il mondo sono le ostetriche e solo loro che hanno gli strumenti per normalizzare il parto e in questo, che dovrebbe essere il loro principale compito, vengono fortemente ostacolate. Quindi la FNCO, che ci dovrebbe rappresentare, dovrebbe a mio parere assumere un punto di vista diverso da quello medico e sostenere le ostetriche nel perseguimento di questo obiettivo".
Nella lunga e circostanziata lettera aperta alla FNCO, nella quale si citano anche alcuni recenti studi internazionali sugli esiti positivi del HBAC, Verena Schmid rileva un altro punto fondamentale della questione, e cioe' che "alla fine la scelta del tipo di rischio da assumersi è della donna, una scelta che può fare solo in base a una onesta informazione". E qui io chiamerei in causa anche i media, spesso inadeguati (un caso o una precisa volontà?) nel dare le giuste informazioni su temi così delicati e complessi.
Ecco il testo integrale della lettera aperta di Verena Schmid alla Federazione Nazionale delle Ostetriche :
Alla Presidente della FNCO Miriam Guana
Al Comitato centrale FNCO
Roma
Lettera aperta
Oggetto: Parere tecnico redatto e approvato della FNCO riguardo al HBAC (Home Birth After Cesarean)
Cara Miriam,
la lettura del parere tecnico della FNCO rispetto all’assistenza a domicilio delle donne precesarizzate mi ha disorientato, sia per la presunta o parziale scientificità, sia perché non vi ho trovato niente del pensiero della midwifery o dell’etica dell’ostetrica.
Vorrei quindi commentare alcuni dei punti salienti e fare una proposta:
Punto 1: prima si afferma che
La probabilità di una rottura d’utero con una singola incisione trasversale del segmento inferiore è del tutto sovrapponibile a quella di donne con utero integro. (RCOG 2007, ACOG 2004)
Nonostante ciò è raccomandato nelle linee guida che
l’effettuazione del travaglio/parto presso strutture dotate di risorse professionali e tecnologiche adeguate ad assicurare un controllo continuo delle possibili complicanze e le immediate cure d'emergenza.
Qui l’ostetrica si dovrebbe porre e difendere i criteri della midwifery senza cedere al falso mito della sicurezza in ospedale.
La comunità scientifica tanto citata dice anche altre cose che vengono sistematicamente ignorate dal modello medico, che però possono rispondere alle raccomandazioni di qui sopra da un punto di vista della midwifery:
• in una donna sana con bambino sano a termine l’auscultazione intermittente del bcf è sicura e sufficiente. Il ctg porta solo a un aumento di tagli cesarei, non a un migliore outcome. Le donne con VBAC che hanno avuto una gravidanza fisiologica a termine dispongono delle stesse risorse delle donne con precedente parto vaginale.
• La modalità assistenziale più sicura e efficace è la continuità dell’assistenza.
• Il rispetto della fisiologia nel parto previene le complicanze del parto e produce migliori esiti per madre e bambino.
• Una buona sorveglianza clinica permette il riconoscimento precoce di eventuali complicanze che richiedono cure mediche.
• Gli interventi non necessari usati di routine in ospedale producono effetti avversi per madre e bambino.
Vorrei ricordare che le statistiche delle complicanze dei VBAC provengono dagli ospedali dove vengono praticate induzioni e epidurali anche su donne precesarizzate, dove viene somministrato loro ossitocina e dove sono spesso costrette a partorire immobili nella posizione litotomica, già dannosa di suo, magari pure con la Kristeller. Anche l’uso della ventosa non fa certo bene al segmento uterino inferiore. Non esiste inoltre un confronto tra pratiche ospedaliere di VBAC e pratiche ostetriche intra- o extraospedaliere, quindi non si può affermare che le complicanze in tutti i casi siano quelle pur minime citate nelle ricerche.
Non si può neanche pensare che chi ha creato l’epidemia dei cesarei (il modello medico) possa guarirla.
Oggi in tutto il mondo sono le ostetriche e solo loro che hanno gli strumenti per normalizzare il parto e in questo, che dovrebbe essere il loro principale compito, vengono fortemente ostacolate. Quindi la FNCO, che ci dovrebbe rappresentare, dovrebbe a mio parere assumere un punto di vista diverso da quello medico e sostenere le ostetriche nel perseguimento di questo obiettivo.
La comunità scientifica citata nel documento evidentemente non tiene conto delle esperienze di HBAC. Dato il numero altissimo di donne che hanno subito un cesareo innecessario e la scarsissima possibilità del VBAC negli ospedali, l’HBAC è aumentato in tutti i paesi del mondo. I risultati dell’HBAC in esiti positivi sono ben superiori a quelli ospedalieri: mi riferisco a uno studio sulle donne Amish in America, a una statistica di un’ostetrica spagnola con 150 HBAC, all’esperienza di Nancy Wainer, autrice del libro „Silent knife“ che assiste i HBAC dagli anni 80 e ad altre esperienze extraospedaliere incontrate: il successo in parto vaginale spontaneo è tra il 95 e il 97 % (contro il 50-60% in ospedale), le complicanze sono praticamente assenti, i trasferimenti in ospedale inferiori rispetto a quelli del parto domiciliare con donne integre.
In questo tipo di assistenza ci sono alcuni punti chiave in comune che potrebbero essere dei caposaldi e che offrono sicurezza:
• La continuità dell’assistenza (che permette tra altro l’elaborazione dell’esperienza precedente)
• Una buona preparazione al parto e il trattamento della cicatrice
• Un’alta motivazione della donna
• Un’assistenza rispettosa della fisiologia: inizio spontaneo del travaglio, libertà di movimento, sostegno emotivo, analgesia fisiologica, accompagnamento spontaneo delle spinte, l’uso dell’acqua
• Un’accurata vigilanza
• Un’alleanza terapeutica con la donna
In questo consiste l’arte della midwifery e in questo senso dovrebbero essere interpretati a mio parere i punti 2,3 e 4 del vostro documento!!
Arriviamo alle conclusioni del documento:
Se l’ostetrica deve informare la donna sui rischi del TOL, la deve informare anche sui rischi della medicalizzazione aggiunta, sulla scarsità di possibilità di ottenere un VBAC in ospedale e sullo scarso successo dei VBAC in ospedale.
Che il parto a domicilio sia una pratica non prospettabile non è sostenuto dalla ricerca e dalle esperienze, come esposto sopra, quindi non sarebbe un’informazione corretta da dare.
L’ostetrica a domicilio può “assicurare una sorveglianza intensiva delle condizioni cliniche materno-fetali, un’individuazione tempestiva delle possibili complicanze” e può trasferire la donna in ospedale prima che avvenga un’eventuale rottura d’utero per l’immediatezza delle cure d'emergenza in caso di rottura d’utero, evenienza che, come dice il vostro documento all’inizio, non è superiore a un parto senza precedente cesareo. Inoltre la rottura d’utero sulla cicatrice è meno drammatica di una rottura d’utero spontaneo.
Di nuovo viene citato l’ospedale come luogo di assoluta sicurezza, cosa non corretta, poiché se andiamo a verificare le complicanze, ce ne sono di più in ospedale che a domicilio.
Purtroppo alcuni drammi si sono consumati proprio in ospedale e troppo spesso perché la donna veniva indotta ed era costretta all’epidurale.
Dobbiamo ricordarci anche che il parto in genere non è sicuro in assoluto e se vogliamo sostenere il parto a domicilio, l’ostetrica e la midwifery bisogna accettare che qualche raro esito avverso possa esserci, al di là dell’operato dell’ostetrica, così come succede anche in ospedale. Statisticamente gli esiti avversi sono pari o inferiori a quelli in ospedale, ricordiamolo sempre. E la FNCO a mio parere dovrebbe sostenere le ostetriche sue iscritte se vuole promuovere il parto a domicilio e far sì che l’ostetrica sia a fianco della donna, non metterle sotto pressione (e far sì che altre prendano il loro posto).
Alla fine la scelta del tipo di rischio da assumersi è della donna, una scelta che può fare solo in base a una onesta informazione.
Mentre il dovere dell’ostetrica e delle istituzioni sanitarie è offrire la migliore assistenza possibile nel contesto scelto dalla donna.
Infine l’ultimo punto: i diritti delle donne
“la sproporzione esistente fra rischi e benefici rende indisponibile l’esercizio di tale diritto da parte della donna.”
Non credo che ci siano le basi legislative per sostenere una affermazione grave come questa.
La corte europea per i diritti umani ha deciso nel 2010 che tutti gli stati membri sono obbligati a garantire il diritto delle donne alla libera scelta del luogo del parto e del tipo di assistenza al parto.
Ma qui dovremmo anche ridefinire quali siano i rischi e quali i benefici di un HBAC in base a una situazione reale:
Un terzo delle donne (e nel sud molte di più) si ritrova con la pancia tagliata senza alcun motivo, se non la distorsione creata nel travaglio da imposizioni, definizioni di tempi arbitrari e interventi.
Molte di loro rimangono con un vuoto, con una depressione che si può trasformare in rabbia anche tanti anni dopo l’esperienza. Molte di loro cercano un riscatto, una guarigione con un parto spontaneo. Molte sono traumatizzate dall’esperienza ospedaliera. PIUTTOSTO IN UN CAMPO CHE TORNARE LA’, questa frase l’ho sentito più di una volta. Infatti, molte donne, per la mancata accoglienza da parte degli operatori, delle strutture sanitarie e anche delle ostetriche l.p. partoriscono da sole. E’ più sicuro questo che avere una ostetrica esperta in fisiologia accanto, che la prepara e accompagna?
Nel HBAC la donna guarisce, ritorna in sé, si riprende la sua forza. Questo è il beneficio. Messo sul piatto contro un rischio minimo, anzi uguale al parto normale forse la bilancia tende da quella parte.
L’HBAC più che una scelta è una necessità in un contesto dove l’ospedale troppo raramente offre un’accoglienza, un’assistenza fisiologica, un rispetto delle scelte e dei bisogni delle donne e coppie e la possibilità stessa di un VBAC. Questa è la realtà.
Prima di parlare dei rischi inesistenti di un HBAC nei confronti di un VBAC ospedaliero bisognerebbe parlare dei rischi di un’ospedalizzazione dove le evidenze scientifiche non sono rispettate, dove la medicalizzazione impera, dove il consenso informato viene ignorato o estorto e dove la donna non ha nessuna chance di essere partner attiva nel suo parto. Gli esempi di ospedali dove c’è una buona cultura dell’accoglienza non riescono a diventare modelli di riferimento e si trovano sempre a combattere in una posizione difensiva, senza alcun sostegno istituzionale.
Poi penso che se si tocca la libertà della donna di decidere sul proprio corpo, sul proprio parto, sul tipo di rischio che si vuole assumere, si rischia di scatenare una rabbia collettiva profonda e travolgente, creata da questo gigantesco esproprio del parto, e si va contro i principi sanciti dall’unione europea, oltre che contro la nostra costituzione.
E allora l’ostetrica cosa deve fare di fronte a una donna che sceglie? La sua etica le dice che la deve assistere, anche quando non ne condivide le scelte (cod. etico internazionale), con tutte le sue competenze professionali e con l’appoggio degli ospedali. Questo è il tipo di sicurezza che siamo in grado di offrire. Il risultato è frutto di aspetti globali più ampi.
Il tema è complesso.
La mia proposta:
Perché noi ostetriche non possiamo discutere in sede di convegno o consensus conference un punto di vista nostro, della midwifery su argomenti vitali come questo, partendo dalla donna e trovando un nostro approccio specifico prima di fare/subire degli editti che calano dall’alto o che semplicemente riproducono il parere medico (non quello scientifico)? La ricerca scientifica ci sostiene in questo e potremmo definire dei punti di riferimento dopo aver ascoltato gli esperti del settore: le ostetriche e le donne.
A mio avviso è importante un confronto con le esperienze extraospedaliere esistenti prima di definire se e come assistere i HBAC.
Cordiali saluti
Verena Schmid
Firenze, 5/9/2014
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